lunedì 28 aprile 2014

La dieta della tazza

Sono dimagrita tre kg in 5 giorni.
Davvero.
Na roba che se continuo così, paro Morticia. Pensate che abbia fatto una dieta miracolosa? Di quelle che si vedono i link su FB? Quelle sconosciute a Galeazzi, Costanzo e Valeria Marini?
In qualche modo sì, ho fatto la dieta della tazza. La tazza del cesso, perché ho preso l'influenza che ti fa avere con lei  incontri ravvicinati del terzo tipo.
Che poi, voglio dire, la posso io fare facile come tutti? Il mondo, dico il mondo, quando ha sto simpatico virus che gira in corpo come un criceto sotto anfetamine, riesce, anche se sta di merda, a gestirlo un attimo.
Ti fai le tue belle giratine tra cesso e bidet ed è fatta. Liberi qualcosa di te nel tubo di scarico ed è finita.
Io no.
A me non piace vincere facile ponzi ponzi pom pom pò.
Io c'ho da svenì. Io non rilascio manco le dichiarazioni o il numero di telefono, figurati se rilascio qualcosa di mio alla tazza pozzi ginori. Che, voglio dire, abbiamo mai cenato insieme io e te, cesso? No, e allora che vuoi?
Pensavo di essere l'unica al mondo che quando ha da rimettere, gli si sminchia il sistema, il cervello cambia registro, il fisico gioca a  fare l'indeciso, tipo che dice "Avevo pensato a un bel virus ma...pensandoci bene mi garba di più vederti svenire secca e dura" e invece, solo l'anno scorso, grazie a una dottoressa che ne soffre, scopro che ho un'alterazione del sistema parasimpatico/nervo vago/non ho capito una beata fava.
Giuro, non c'ho capito un cazzo. Ha cominciato a spiegarmi che le persone che ne soffrono, quando hanno disturbi gastrointestinali, sono vittime di una sincope, così si chiama, e perdono i sensi o ci vanno vicine. E quando ti ripigli, alla fine non hai rimesso, ma stai di cacca.
È una cosa brutta, molto brutta, che io negli anni ho imparato a gestire, tipo che me lo sento che sto per svenire e col dorso della mano poggiato sulla fronte sussurro "Mi sento mancare, presto i sali".
Scherzo, riesco solo a chiamare aiuto e trascinarmi come un bradipo zoppo al divano e dire "Tiratemi su le gambe". Sudo freddo come se il Santo avesse sbirciato nella shopper e avvistato lo scontrino della profumeria, mi si offusca la vista come se mia suocera mi avesse detto "Dimmi se mi stanno bene 'ste mutande" e respiro affannosamente come se fossi in sala parto o a un corso acceleratissimo di yoga.
Nel frattempo, per alcuni minuti, non sono in grado di intendere e di volere, roba che potrei firmarti le cambiali della macchina o intestarti la casa, lo scooter e la bicicletta sgonfia.
Il tutto dura da qualche minuto al massimo un'ora, tempo sufficiente da far sperare al Santo "Questa volta ci siamo!".
Ma io di secondo nome faccio Lazzaro e anche se moribonda alzo il dito medio. Lui schiocca le dita e fa "Azz! manco stavolta!"
Non si vuol sporcare le mani, capite?
Ma c'è abituato, e gli faccio anche un po' pena. Lo vedo da come mi tampona la fronte con la pezza bagnata e dalle domande che mi fa.
Si passa da "Quante sono?" facendo oscillare tre dita davanti ai miei occhi a "Ti ricordi come ti chiami?" a "Come stai?" ripetuto a loop come un disco incantato. Praticamente le stesse domande che fa la polizia all'ubriaco di turno fuori da un locale.
Io in genere gesticolo come un primate e prego che non mi capiti mai con estranei perché non penso di essere un bello spettacolo. E qui scatta la prova d'amore, perché se dopo svariati episodi, il Santo è sempre qui, altro che diamanti.
La prima volta avevo circa vent'anni, sono corsa in bagno, sono riuscita a malapena a chiamare la mi' mamma, che ha mi ha visto bianca bianca, poggiata alle piastrelle  "Mi sento svenire..."
e lei ha pensato di seguito:
"Oh cazzo"
"Oh cazzo, che spavento"
"Oh cazzo. È incinta"
Non ha fatto in tempo a girarsi  per chiamare il mi' babbo che io son scivolata giù lentamente e quando si è voltata c'erano solo le piastrelle verdine a guardarla "Oh dov'è?"
Ero raggomitolata  ai suoi piedi, bianca, sudaticcia e con le braccia informicolite come una Christiane F di un qualsiasi zoo di Berlino.
E niente, quando ho sti disturbi tutto l'afflusso del sangue mi va allo stomaco o alla pancia e va via dal cervello. E non è strano che io ne soffra, pensateci. Io qua sopra ho già pochissimo afflusso, quasi inesistente, e se quel poco che c'è, se ne va allo stomaco è chiaro che perdo i sensi. Cioè, non ce la faccio a gestire tutto. O di qui o di là. E se va di là, di qua sminchia, per forza. Certo sì, non è che ci voleva per forza una dottoressa che mi dicesse che ho  un sistema parasimpatico che pare simpatico, ma  non lo è. Bastava fare un elettroencefalogramma per capire che qua non è che puoi togliere qualcosa. Cosa minchia vuoi togliere se non c'è nulla.
Quindi bho, son calibrata male, che vi devo dire. Però son simpatica dentro. Anzi, parasimpatica.
In compenso c'ho un vitino da vespa in questi giorni che vi farebbe invidia. Sono stata 5 giorni con un pacchetto di crachers e mezza tazza di tè al dì. Nemmeno a San Vittore. Manco Rosanna Lambertucci era arrivata a consigliare sta roba per farvi perdere 3 kg in 5 giorni.
Io non ve lo consiglio, anche perché vi lascia uno strascico di giorni e giorni che solo la vista della sigla de La prova del cuoco, vi dà la nausea. Che alla parola cibo preferireste devitalizzazione-di-un-morale-senza- anestesia, che al solo pensiero di buttar giù qualcosa preferireste scalare a mani nude una parete rocciosa ricoperta di escrementi di piccione.
Però, che bel post. Utile, proprio.
Sicuramente mi contatterà Luciano Onder per la prossima puntata di Medicina 33.






giovedì 24 aprile 2014

Lettera aperta ai pubblicitari



                                                                Foto da:http://www.veriappassionatidiautoemotostoriche.it/



Cari pubblicitari, dai su, a me lo potete dire: che vi bevete, l'acqua delle mozzarelle? Che sniffate, lo zucchero a velo che Nonna Papera mette sulle torte? Il borotalco di Pollon che sembra talco ma non è? Che ingurgitate per partorire idee malsane come alcune pubblicità?
Prendiamo per esempio quella con la Ventura che pubblicizza scarpe.




No, dico: c'era bisogno (lei che sarà pure in menopausa) inscenare un super mestruo come se le sue ovaie avessero gridato 'al mio via scatenate l'inferno'? Perché ogni volta che batte i piedi questa sembra che perda litri di piastrine, globuli rossi e pure qualche neurone. Una pozza rossa che si allarga sotto la gonna, lasciatevelo dire, non invoglia a comprare scarpe, ma bensì riporta alla memoria l'agosto dell'86, quando in pieno ciclo ti sei pentita di aver indossato dei pantaloni bianchi, e a quel tempo non c'erano manco due stracci di ali di aliante a supportarci. Son cose che segnano e voi, con ste pubblicità di merda, ce le riportate alla memoria. Non va mica bene. Per non parlare anche della scioltezza della Ventura a effettuare un passo di danza. Un tronco di pino è più sciolto. Un palo della luce è più flessuoso. E parlo io che sto alla danza come Lady Gaga sta al trucco acqua e sapone. In questo caso il passo doveva sembrare un uno-due da far invidia ai ballerini di Amici. Uno stacchetto per sottolineare le scarpe che tho! Son pure comode per ballarci. Invece a sto giro il flash mob pare un un due tre stella giocato male, tutti fanno dei movimenti inconsulti col dito puntato, tipo quando esci 'mbriaco da un locale e ti chiedono “Dove hai la macchina?” e tu ti giri a destra e a manca, punti il dito in modalità sminchio e fai “Là! No...laggiù!No...qua!”. Per non parlare della parte cantata/recitata/scandita dalla Ventura che in questo frangente pare a suo agio come potrei esserlo io se mi sorprendessero mezza ignuda in un camerino mentre tento di infilarmi un jeans taglia 38 (che mi si ferma a metà coscia formando due cotechini rosa Peppa Pig) imprecando come uno scaricatore di porto.
E non mi voglio lamentare perché la protagonista è donna, oh no. Anche quando ci sono i fighi mi lamento. Eccomeno.
Non bastava Banderas che parla con Rosita (gallina scema da una vita) nel mulino che vorrei (prendesse fuoco), ma ora c'è pure Kevin Costner che taglia il tonno con un grissino.



A parte complimenti vivissimi per il rinnovo dello slogan (che credo sia dal '54 che ce la menano con sto grissino che peraltro se non te li servono al ristorante nessuno manco li compra più), ma dicevo, proprio Kevin dovevate scomodare? L'uomo che ballava coi lupi ora mi parla col tonno. Di questo passo mi aspetto Robert Redford che, dopo aver sussurrato ai cavalli, mi recita du' poesie agli sgombri sott'olio.
Lo ammetto: Kevin a me più di una volta ha smosso l'ormone, tipo in Revenge o in The body guard,
quando bello tenebroso difendeva la sua donna e le strappava la filanca delle mutande. Ora me lo ritrovo padrone di un faro che elogia una scatoletta di tonno. Mi cascano le ovaie, io ve lo dico. Un uomo così, di quella portata, il tonno me lo deve catturare a mani nude col coltello infilato tra i denti. No, ma dico bene?


E poi ora c'è pure quell'altro. Lo chef burbero ma intrigante che parla della patatina.



A parte gli ovvi sottintesi tipo che la patatina piace sempre, quei genialacci fanno mormorare a Cracco solo frasi tipo “Di più...” “Di più, di più...!” che pare che prenda una patatina e la sbatta sul piano di lavoro in una sorta di nove settimane e mezzo culinaria. E poi finisce col dire “Perché in cucina ci vuole audacia”. No caro mio, in cucina ci vuole coerenza. Fammi capì: a Masterchef ci fai due palle così su ingredienti genuini, impiattamento perfetto al limite della pazzia, e smorfie disgustose davanti a piatti che, ammettiamolo, potrebbero essere più buoni di quelli che cucina tua madre, e te che fai? Mi elogi la patatina nel sacchetto. Già questa cosa ti rendeva simpatico come un'herpes genitale (tanto pe' rimanè in tema) però adesso non sei più nemmeno credibile, capisci? Tu, chef super stellato, che ti conosciamo per le tue prosopopee sul gusto, per essere un intenditore sulla cucina sopraffina, per essere l'esperto di grandi ricette, per essere evidentemente abituato a cibarti di caviale e tartufo, per aver inventato l'uovo marinato, fritto, con la camicia e col cappotto collezione autunno inverno, che mi fai? La pubblicità di una patatina in sacchetto. Ah Cracco...ma levati dar cazzo. Fammi il piacere.
Ma non è finita. Hanno pure chiamato dagli States Owen Wilson che m'arriva al bar col monopattino come Po dei Teletubbies, per poi lanciarlo a cazzo di cane tra la gente seduta facendo fuori un femore e due rotule.



Voglio dire, già l'inizio non è dei migliori. Dopo è anche peggio. I dialoghi sembrano scritti da uno appena uscito da un centro di igiene mentale, ma poi si sono accorti dell'errore e lo hanno rimesso dentro, con rime talmente fatte bene che se si mettono in confronto con una poesia di un cinquenne quest'ultimo pare Pascoli. Con Il Mondo di Jimmy Fontana in sottofondo, ribattezzata Il biondo (vi prego, VI PREGO!) con un carlino incarognito che viene tenuto a bada da un crodino non prima che la scenografia non abbia sciorinato suggestive rimembranze del compianto Bruce Lee. Finendo poi con un “C'è sempre bisogno di un biondo nel mondo”. Come te ma anche no.
Chiudo con una proposta: voglio Matthew Mc Conaughey seminudo in una cucina rustica che mi prepara marmellate santarosa.
Io ve lo dico: la marmellata di fico andrebbe a ruba.

Meditate pubblicitari, meditate.

domenica 20 aprile 2014

Come costruire uno scaffale anche se è Pasqua

Mi dicono che è Pasqua. Io non lo so. Se è vero, augurissimi da parte mia. Io e il Santo ultimamente abbiamo perso la cognizione del tempo e dello spazio. Non sappiamo più chi siamo, ndo annamo, che facciamo. Anzi no, cosa facciamo lo sappiamo. Ci stiamo letteralmente massacrando con il nuovo progetto del giardino  che vi parlavo nel post precedente. Na roba che ci sta coinvolgendo moltissimo, e quando dico moltissimo intendo che ci svegliamo la notte, balziamo sul letto e gridiamo nel sonno
"Oddio le tegole!!"
"L'impregnante deve essere marrone chiaro!"
"La staccionata!"
per poi crollare a peso morto sul cuscino e la mattina non ricordarsi più nulla.
Roba così. Ma siamo felicissimi e contentissimi, senza considerare la soddisfazione immensa di fare tutto da noi. Tutto. E la cosa non è semplice perché ci stiamo costruendo una craft room. Sì, quella stanza dove io creerò e il Santo armeggerà coi suoi attrezzi. Ma è presto per parlare di questa, ancora l'esterno è da terminare e il brutto tempo di questi giorni ha frenato i lavori fuori, mentre il dentro, oddiomio il dentro è pronto. Ma è pure prematuro farvi vedere questo. Lo so, vi state chiedendo "Scusa un attimo, allora che minchia ci vuoi far vedere?" E un attimo che ve lo spiego. Cioè, la craft room va arredata, nevvero? E figuriamoci se io la faccio facile, tipo comprarmi un mobiletto bello e pronto. Ennò! Troppo facile, cara Simo! Ma ti pare? Insomma diciamo che volevo, almeno per iniziare e farmi un'idea, (e anche risparmiare un po') non acquistare qualcosa di nuovo. Diciamo anche che amo dare vita nuova a mobili vecchi e fare qualcosa con le mie mani. Lo so, a volte a fine lavoro la differenza tra quello che si acquista in materiali e il mobile nuovo è davvero poca, ma la soddisfazione dove la mettiamo? In questo caso la spesa è stata minima. Tra quello che avevo e Santa Ikea, mi son ritrovata uno scaffale molto utile che invece  sarebbe andato al macero.
Di due scaffalini un po' sminchiati, vecchi,  anonimi e divisi, ne ho fatto uno utile per accogliere tutti i miei materiali.

E da così:



a così:


Ma come ho fatto? Semplice.
No, ma davvero. Prima di tutto ho rinforzato (sì, dico HO perché questo l'ho fatto tutto da sola, manco lo straccio di un uomo c'ha messo mano. Tzè!), dicevo: rinforzato con dei chiodi nei punti di maggior usura. Diciamo che gli ho dato più stabilità e più forza.
Poi, con la levigatrice e a mano nei punti critici, ho carteggiato per bene i due pezzi.

 
Infine ho dato due mani di smalto bianco opaco. Il risultato già dalla prima mano è lampante. Cosa può fare solo un po' di tinta, eh?
Ora non restava che utilizzare al meglio lo spazio, che non essendo predisposto per alcunché, andava studiato per benino per non strafare. Quindi mi sono disegnata il mobiletto e armata di piccì mi son fatta un giro nel catalogo on line di Ikea, per trovare soluzioni utili ed economiche che facessero al caso mio.


E sono contenta di essere riuscita a mantenere, per un'altissima percentuale, l'idea e il disegno che avevo preparato.
Di seguito una pratica guida all'acquisto (della quale Ikea, sulla prossima spesa, dovrebbe farmi lo sconto) che eviterà domande del tipo: ma dove lo hai preso, di che materiale è fatto, quanto misura, etc etc...

Partendo dall'alto:



barattoli  da conserva che io uso e userò per bottoni, fiori da applicare e piccoli oggetti da cucire.
scatol a scomparti (è molto pratica e comoda, all'interno è comodamente divisa a scomparti). Ho preso anche quella piccola che però di scomparti non ne ha.

                                                                             ***



Portanastri , qui mi vanto del mio colpo di genio perché chiunque sia andato all'Ikea almeno una volta ha visto nel reparto cameretta dei bambini il portarotolo di carta. Ecco, io l'ho adibito a portanastri. E non ho ancora finito di riempirlo.

                                                                               ***


Saltando il ripiano di stoffine, troviamo un contenitore per attrezzi tipo viti e chiodi. Me lo regalò il mio babbo anni fa. Secondo lui era l'ideale per tenere separati e in ordine le matassine di fili per ricamare a punto croce.
Aveva ragione. Questo lo potete trovare in qualsiasi negozio di fai da te e pure in ferramenta!

                                                                   ***

Ed eccoci al punto critico. Siccome sti due scaffalini non erano adibiti per essere montati uno sopra l'altro, come potete vedere tra quello sopra e quello sotto c'è uno spessore di soli 6 cm. Che ci metti in sei cm? Semplice: un cassetto per posate che diventa un porta tubetti in comodi scomparti per tempera, acrilici, olio e quant'altro.


                                                                      ***
Sulla destra invece ho riciclato una scatolina che credo contenesse viti e chiodi, ma che potete trovare in qualsiasi negozio (come sopra). Questo mi serve per piccoli oggetti.


                                                                      ***
 Sul ripiano inferiore ho messo un po' di riviste di cucito e ricamo (ma ne ho ancora e sto studiando dove metterle) e due scatole senza scomparti ma molto capienti.




                                                                             ***
Ancora più in basso troviamo tre cestini (questi non proprio convenienti, ma mi piacevano troppo così rustici) in cui ho messo (per ora) la colla a caldo, le cartucce, gli oggetti di polistirolo per il patchwork e altre ammennicoli che solo una pazza può pensare di usare. E non è escluso che in quei buchetti io non faccia passare del nastro di stoffa. Mo' vediamo.



Infine, nell'ultimo ripiano, ho messo due cassettiere  (una grande e una piccola) che ancora non ho riempito (per quello i cartellini sono vuoti). A proposito, le targhette le trovo oltre che utili anche belline, suvvia!



Un chiodino sul bordo per mettere il metro da sarta (che sennò non lo trovo mai!)


e un piccolo anticipo sul prossimo lavoretto...
Notate nulla?
Buahuauhahahhah!!!



Finirò nel 2025, me lo sento.
Anzi, il Santo l'altra sera m'ha detto "Bella la casuccia, vero?"
"Sì, molto bella, amore"
"Ma sarà la nostra tomba, perché noi se si continua di questo passo, si more presto e  ci tumuleranno lì dentro. Però che soddisfazione"
"Sì, soddisfazione, e pure poesia, amore"

Ed è proprio il caso di dire  to be continued...

giovedì 10 aprile 2014

Chi fa da sé fa per tre

Salve, qui è lo spirito di Simo che vi parla. Perché non ci sono più. Svampata. Cotta. Esaurita.
Il perché è presto detto: ho finito un lavoretto (lavoretto è un parolone, mi sono giocata mazzi e mazzi di neuroni specchio) che avevo iniziato un anno e mezzo fa. Quando si dice fare le cose velocemente. Ma a quel tempo, evidentemente, non ero ancora pronta.
Ma partiamo dall'inizio. Diciamo che mi piacerebbe avere un blog che tenesse sempre una certa linea, tipo post regolari, sempre di interesse comune, che vanno al di là di quello che mi accade e che combino. Invece no. Il mio blog è sminchiato come me, mi rispecchia e io non riesco a vivere una cosa e scriverne un'altra. Tutto questo per dire che siccome abbiamo 'dei lavori' in corso che riguardano il giardino vi dovete sorbire tutto il work in progress. E che volte fare, sono limitata.
Il giardino non verrà stravolto. Il giardino avrà una fantastica miglioria, quel tipo di lavoro e progetto che tanti di noi sospirano con un "Sì, magari un giorno faremo..." Ecco, sì, quel giorno è arrivato. Dopo anni. Ma è questo il bello di un progetto, no? C'è voluto tempo, impegno, denaro, decisioni, scelte, cazzi&mazzi ma alla fine ce l'abbiamo fatta.
Ma ovviamente è presto per parlarne.
Fregati, eh?
Ma guardate che vi faccio vedere un'altra cosa bellina.
Ora, pensate un attimo a me, che so che tra poco il mio giardino risplenderà ancora di più. Chiedo: secondo voi io sto con le mani in mano? Secondo voi io non posso essere parte attiva del progetto e fare e disfare su nomi cose animali e città? Infatti sono stata molto attiva, talmente attiva che mi aggiravo tra gli arnesi dei muratori curiosa come una scimmia e gira che ti rigira mi sono pure tagliata con un ferro arrugginito. Morale: antitetanica e antibiotici. Un genio.
Allora mi son detta: se non posso usare la betoniera (che vi giuro ha un fascino incredibile quel coso che gira e vomita calcina) sarà meglio che mi metta a fare le cosine proprio da donna. E quindi ho deciso di rinnovare/foderare/ la parure per il mio salottino da giardino. Che, una volta finito, farà bella mostra di sé con tutto il cucuzzaro che stiamo organizzando.
Quindi, armata di tanta voglia di volontà e un'idea precisa in mente, me ne sono andata al mercato a comprarmi due metri di stoffa. Sì, solo due metri, il resto lo avevo già e ce l'ho adattato.
Sono stata due giorni a misurare, tagliare, cucire, assemblare e a fine serata avevo più fili addosso io di qualsiasi sarto in tutta Italia.
Ho foderato tutte le sedute, i cuscini, e ho rifinito di trina la tovaglietta con la mia scoppiettante macchina da cucire Ikea. Il tutto è double face, sennò sarebbe stato troppo facile! Eh.






Ma non è finita, perché il pezzo forte c'ha da arrivare. 
Vi dico: prendete qualche scampolo di stoffa tutta diversa e tagliatela  a quadretti di 11 cm per 11 cm, diciamo 150 quadretti. Che volete che sia.


Assemblatele tutte, divertendovi anche a mo' di puzzle, e poi smadonnate perché alcune stoffe non vanno per niente bene visto che la texure è diversa e quindi cercate altre stoffe, misurate, ritagliate e guardate di nuovo. E poi non vi sembra ancora come la volevate e allora ci vuole stoffa più scura che dia un guizzo, un tocco di colore forte al tutto.


Quando alla fine vi sembra che sia accettabile, tracannate una vodka per affrontare quello che viene dopo. Armatevi di tanta pazienza, accendete un cero a Padre Pio e cominciate a imbastire A MANO tutti i pezzi. Cuciti uno per uno. Uno attaccato all'altro, cercando  di non sminchiare troppo il disegno che vi eravate prefissati. Dopo 8 ore passate alla macchina da cucire, con il piedino che dà gas che manco un pilota di formula uno e nella testa il TRRRRRR!!! del motore, avrete questo risultato:
una coperta/plaid/tovaglia patchwork.
In compenso non avrete più neuroni, ma son dettagli. Volete mettere la soddisfazione?






La mia parure (quanto fa figo chiamarla Parure?)


In finale apro parentesi ( se amate cimentarvi in questi lavoretti e siete alle prime armi, questa macchina da cucire vi può bastare. Io non mi sono mai pentita. Chiusa parentesi)
Detto questo: il patchwork non è venuto precisissimo ma quando ho risposto alla domanda "Simo, sai dov'è il trapano?" con "È nella vasca da bagno" ho deciso di porre fine a questo lavoro per non giocarmi il poco cervello che mi è rimasto.
P.S. consigliatelo come passatempo alla vostra peggior nemica. Dopo vi amerà ancora di più.




venerdì 4 aprile 2014

Erba di casa mia






Quello che sto per dire suona molto come farse tipica di nonna Abelarda: "Poche cose mi rilassano come fare giardinaggio"
Non mi immaginate già coi guanti fioriti e il cappello di paglia china a estirpare erbacce in una verde campagna inglese? Poi magari passa anche Miss Marple che mi dice "L'assassino per me è il vicario".
Cioè, poesia pura.
Ma è la verità. Dedicarmi al giardino mi mette serenità, mi scarica, tengo le mani impegnate (a volte anche faticosamente perché 'io vaNgo') e creo, disfo, semino, estirpo e aspetto paziente che i miei semini diano i loro frutti. Anzi, fiori. 
Spesso anche senza guanti, perché manco mi fa schifo toccare la terra a mani nude. Ad Heidi facevano ciao le caprette, a me i lombrichi, va là.
Il giardino, soprattutto grande come il mio, richiede tempo, energia e denaro. Se pensi di tenere un giardino e curarlo una volta tanto, in men che non si dica ti ritrovi una foresta, pure infestata dagli alieni.
Le recinzioni richiedono manutenzione (tingi, ritingi, dai la cera togli la cera), i vasi di essere svuotati dai bulbi e messi ad asciugare (perché io le fioriere dalla primavera all'autunno le voglio sempre fiorite, sennò tho! troppo facile lasciare i bulbi  lì così, porini), gli alberi da frutto, la siepe, le grandi piante di essere potate, il prato di essere tosato, nutrito e concimato (i gatti in questo caso ci danno una grossa zampa)... insomma già a parlarne sono stanca.
Però è una grandissima soddisfazione, almeno per me, vedere i frutti della nostra fatica (seeee fatica, diciamo impegno, suvvia)


Che poi, quando siamo all'estero, come souvenir  acquisto semi e bulbi da piantare nel nostro giardino. Un modo come un altro di avere un  po' di quel luogo, di quei colori, a casa mia. Quest'anno nello Yorkshire abbiamo acquistato dei bulbi di daffodils e di tulipani dai colori variegati e dalle forme strane (quelli un po' particolari ancora sono indietro nella sbocciatura, ma sono fiduciosa). 

 






Inutile dire che sono molto orgogliosa di questi fiori e per un momentino ino ino mi sembra di essere di nuovo là.
Un'altra mia passione sono le ortensie, specialmente quelle blu. Una fila di sei piante per ora è sempre verde ma rigogliosa, invece questa me l'ha regalata mamma. Quando si dice fare contenta una figlia. Tzè.


 Un'altra pianta che mi garba un casino è 'La bella di notte', pianta con fiori che durante il giorno sono chiusi
e si aprono all'imbrunire, al tramonto, per stare fiorita e profumatissima solo la notte. Ma non è fantasticamente strano? È una pianta che attacca facilmente e che , grazie ai semini (che sembrano grani di pepe nero) che col vento vanno a finire da tutte le parti, in breve tempo ce la siamo ritrovata un po' ovunque. Come ho detto prima ha un profumo molto intenso e piacevolissimo. Praticamente profuma l'aria in giardino al calar della sera. Adoro.





Quest'anno aspettiamo in gloria che il nostro albicocco e i ciliegi ci regalino i loro frutti. A vedere il via vai di apine direi che i fiori almeno son buoni.


Come dev'essere buona l'erba, il polline dei miei fiori e l'ambiente in generale perché in alcune giornate sembra di essere allo zoo, tra gatti curiosi, famiglie di ricci, uccelli di vario tipo, civette diffidenti, farfalle strane, lumache di ogni dimensione, e chi più ne ha più ne metta. Ah sì, abbiamo anche un biacco che a quanto pare girovaga tra il mio giardino e quello dei vicini. Abbiamo scoperto giorni fa due mute, due pelli secche. Non metto la  foto perché potreste avere uno sturbo, ma fidatevi: molto belle. Mi hanno suggerito di farci una cintura. Voglio dire: unire l'utile allo schifo, ma insomma ci posso pensare.

 

 Anche se il Re incontrastato del giardino rimane lui. Che se lo gira, se lo annusa,  ci si nasconde, me lo concima (lo possino!) lo controlla, smuove i semi appena il Santo gira gli occhi e mi morde i bulbi.





So di non aver scritto molto e aver parlato solo a immagini, ma che ci volete fare, in questi giorni sono molto indaffarata con un nuovo progetto che riguarda proprio il giardino. Perché oltre a tutto questo ci sarà qualcos'altro di molto molto bello. 
Ve lo dirò tra qualche settimana suvvia.

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