martedì 31 marzo 2015

L'intervista alla tv



Oggi è il mio compleanno. Alè, sì, tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri cara Simo, tanti auguri a te. Finito? Molto bene. Dicevo: compio la bellezza di 24 anni letti al contrario. Ergo: 42. Ed è inutile che mi diciate “Ma come li porti beeeeneee!” perché io li ho e me li sento tutti. Soprattutto a livello psichiatrico. Tipo che questo post lo avevo già scritto e poi, non si sa come, l'ho CANCELLATO. L'unico neurone che mi ritrovo ha dato forfait, capite? Prima ne avevo un bel numero che riuscivo a tenere a bada con un cane da pastore, ora no. Neuroni specchio che mi abbandonano così, senza preavviso. Insomma, tutto questo per dire che io vi volevo parlare di un'intervista tv che mi ha fatto 50 Canale. Lo so, pare strano anche a me che mi abbiano contattato, infatti lì per lì pensavo fosse uno scherzo, invece no: impavidi loro. Il tutto, ovviamente, per parlare dei miei libri, del mio percorso, del mio successo (???) 
Vi dico subito che  il poro cristo incaricato di gestirmi è arrivato direttamente da Assisi: San Francesco.
Sto scherzando, non arriva da Assisi.
San Francesco un giorno mi chiama per propormi un'intervista. Prima gli rido in faccia, poi siccome mi pareva brutto, gli do del pazzo. Riesce a convincermi col suo entusiasmo mentre io per contenere il mio mi son presa a martellate gli alluci. Perché voi non potete capi' il problema. Io ho una voce che sembro Paperino che ingoia elio e ho una finezza pari solo a Floriana Secondi del GF dopo una sbornia. Una fa-vo-la. Il mio terrore era:
-si incrina la telecamera
-non mi manderanno mai in onda
-il giornalista ci ripensa e mi da buca
-l'unica che mi guarderà e apprezzerà sarà mi'madre che anche con la varicella e la febbre a 40° arrivò a dirmi “Che bella figliola che ti c'ho”
Lo so che capita a tutti di non piacersi rivedendosi o risentendosi, ma vi giuro che io parto molto svantaggiata. Fidatevi. Senza contare che quando si va in tv per qualsiasi motivo si dovrebbe quantomeno regolarsi un attimo, avere una dizione che sia comprensibile in tutta Italia e un minimo di garbo. Io non ho nessuna delle tre e a niente è valso il mio avvertimento “Non sono fatta pe' ste cose, io te lo dico.” Nulla, l'intervista s'ha da fare.
San Francesco mi ha proposto qualche location:
“Facciamo al Duomo?”
“Sì, mo' magari mentre faccio finta di reggere la torre di Pisa! Ma anche no!”
“Sui lungarni?” ha tentato di nuovo.
“Ma sei pazzo? C'è pieno di gente!”
“Al mercato vecchio? È un bel posto, caratteristico.”
L'idea era buona, poi mi son vista tra il banco delle triglie e degli scorfani mentre un pescivendolo in canottiera e pelo in vista urlava “Donneee!! Pesce frescoooo!!”
“No.”
“Per le vie del centro?”
“Scordatelo.”
“In un bar?”
“Ma figurati!”
“A cavallo, alle giostre, al luna park, al mare, ai monti, in collina, dove? No, ma dimmi te!”
“Non si potrebbe fare in un luogo un po' appartato dove non ci sia nessuno, tipo una cantina, uno spogliatoio di una palestra chiusa, un camerino, un bunker, ad esempio?”
Già un ciuffo di capelli gli è diventato bianco, io vi avverto. Ha contato fino a dieci per non uccidermi all'istante e mi ha proposto un bel luogo verde: un viale alberato. Ho accettato solo perché in un cespuglio o in un rovo avrei potuto trovare rifugio. Ho anche pregato per una epidemia di cagarella per tutti i podisti, hai visto mai.
Arrivo all'appuntamento cercando di sistemarmi al meglio i capelli che, grazie al vento, mi facevano pericolosamente sembrare Cameron Diaz in Tutti pazzi per Mary: un ciuffo davanti tutto ritto che pareva avessi ingoiato una scatola di viagra.
San Francesco scende di macchina con tutto l'armamentario e a me prende l'ansia.
“Oddio, leva sta roba che a me mi viene il patema d'animo! Dimmi almeno che domande mi farai! E se poi vengo male? Ma non ce l'avete una controfigura, una doppiatrice, perdio!?”
“Simona, ti prego, STAI CALMA.” Capisco che lui è già stravolto ma quando dici a una donna 'stai calma' è la fine.
“Io sono calma!Calmissima! Non so che cazzo di domande mi farai, ho dei capelli che sono una merda, ci sono 67 podisti, 43 cani con rispettivi padroni, non ho fatto in tempo a perdere quei tre quattro kg che mi avrebbero fatto sembrare più magra, ma nonostante ciò sono calma! Chè, non si vede?”
San Francesco mi guarda con compassione poi, stancamente, mi dice “Dai, seguimi.”
Lo seguo entusiasta come uno che percorre il miglio verde.
“Okay,” mi dice “Mettiti qui.”
“Sono al sole.”
“Per forza! Sennò non ti si vede!”
“Non ci vedo nemmeno io! Quando abbiamo finito avrò bisogno di un bastone perché mi son bruciata le retine!”
“Per favore. Te lo chiedo per favore. Stai bonina? È perfetto qui.”
“Mmh. Se lo dici te.”
“Iniziamo. Abbiamo qui Simona Fruzz...”
“Alt!”
“Che c'è???”
“Mi stanno lacrimando gli occhi e mi si sta sciogliendo il trucco. Non sembra che tu faccia un'intervista a una scrittrice, sembra che tu la faccia a un pierrot.”
Francesco si passa una mano tra i capelli, esausto.
“Stai bene, okay? Il trucco va bene.”
“E i capelli? Non sembro una pazza?”
“Non più di quello che tu sei in realtà. Vogliamo proseguire, di grazia?”
“Proseguiamo. Certo però...se sapessi già le domande...”
“Niente domande! Penso a tutto io! Tu devi essere naturale, va bene? Ti preeeegoooo.” Il ragazzo è stanco, dovrebbe prendersi le ferie.
“Ci provo. Perché a dirla tutta non è facile essere naturale con un microfono sotto il mento e uno che ti riprende.”
San Francesco chiude gli occhi, inspira, fa training autogeno per non abbattermi a colpi di microfono e mi invita ad andare avanti.
Quando finiamo l'intervista, mi rassetto il giacchetto, agguanto la borsa e dico “Okay, è stato un piacere, grazie di tutto. Fammi sapere quando esce!”
Ma lui mi ferma “Ma dove vai? Non abbiamo mica finito.”
Mi son cascate le ovaie, le mascelle e la borsa. Volevo morì.
“Oddio, e ora che devo fa'?”
“Mi servono le immagini per corredare il servizio! Facciamo qualche ripresa mentre passeggi, okay? Tranquilla. Fai come se non ci fossi, cammina serena, serena.”
No, ma avete idea? Far finta che davanti a te non ci sia nessuno a parte un fringuello o una cagata di piccione.
Ma il giornalista lo vedo stanco, stremato, e prima che gli venga in mente di uccidermi e darmi in pasto alle nutrie, decido che forse sì, ce la posso fare. Cerco di passeggiare senza pensare a niente domandandomi come minchia fanno quelli dell 'isola dei famosi a far finta di nulla, e nonostante sia scettica sento che sono tranquilla, serena, naturale...
“Stop!”
“Che c'è?”
“Dobbiamo rifarla. Sei davanti a un bidone della spazzatura!”
Evidentemente ero troppo naturale. La rifacciamo da capo e ci fermiamo di nuovo. Una signora curiosa come una scimmia col canetto al seguito mi sta fissando come se fossi l'anticristo. Non ha mai visto un'intervista, perdio?!
Signora bella, di grazia, può andarsene gentilmente affanculo? Può togliermi dai piedi il suo cocker nano e farlo defecare un po' più in là? Sia gentile.
Nulla. Imbalsamata. Abbiamo dovuto spostarci noi.
Ma alla fine è andata. Servizio bello, perfetto, professionale e tutto il merito va al giornalista, chiaro. Il quale, a fine riprese, mi ha detto “Lavorare con te è faticoso e impossibile. E sei pazza, lo sai vero?”
No, onestamente non lo sapevo. Non me l'ha mai detto nessuno.
La sera, sul divano accanto al Santo, abbiamo rivisto il servizio.
“Bello!” ha esclamato il consorte.
“Davvero? Non dovrei dimagrire 5 kg, rifarmi il naso e le tette e fare un corso di dizione e pretendere una controfigura e gesticolare meno?”
“No. Vai benissimo così.”
“Dici? Ma davvero io sono quella lì?” dico sgomenta guardando la tele.
“Né più né meno.”
“Francesco ha detto che lavorare con me è faticoso e impossibile.”
“Davvero? Pensa te a viverci con una così.”
"Fai dell'ironia?"
"No, amore, ma che scherzi? Guarda, guarda il filmato. Tranquilla."
Sono sicura di essere venuta un cesso e sono sicura che non mi abituerò mai a questo genere di cose perché una ci deve essere portata, no? 
Tipo portata a forza, intendo.





martedì 24 marzo 2015

La prima sigaretta


                                                                                     Foto: http://www.newspedia.it/


"Ecco, sì, allora. Io direi di cominciare a parlare di cose serie, tipo: la scuola e tutto quello che ci gira intorno. Perché vedi, figlia mia, te adesso sei grande e mica vai più alle medie che, vojo di', avevate al massimo 13 anni, qui no è diverso. Ci sono ragazzi di 17, 18, 19 anni, anche di più se uno boccia, no? E mica voglio dire che il male è nell'età, ci mancherebbe. E non c'è nemmeno il male, se vogliamo. Ti volevo solo dire che è tutto un po' diverso, abitudini diverse, orari diversi, gente che viene da sé in motorino, gente che viene in macchina, gente che fuma. Ecco, appunto, il fumo. Sappi che la sigaretta normale è un optional. A scuola tua, come in tutte le scuole di Italia, gira anche altro fumo, roba forte. Da mamma ti dico: non la provare quella roba lì che poi ti senti male. Però riconosco che come tutti (perché mica sarai diversa, no?) forse un giorno vorrai provare a fumare, per forza. Ed è inutile che io ti consigli di non farlo perché ne diventeresti dipendente e soprattutto perché sei asmatica e mica ti fa bene. Ah certo, potresti dirmi che anche mio fratello è asmatico e fuma come una ciminiera. Sì, infatti, non ha mai capito una fava, ma contento lui, contenti tutti. Insomma, lo sai che io e babbo non vorremmo, ma sai anche che  a un certo punto della vita, della tua crescita personale e del tuo sviluppo, può darsi che tu abbia voglia di provare una sigaretta. Ci sta tutto. E sarebbe normale. Bene.
Sappi, figlia mia, che nonostante io sia contraria, prima di saperti a fumare di nascosto nel bagno chissà che cosa, prima di saperti a spruzzarti profumo 'sennò in casa mamma se ne accorge', prima di nasconderti da tua madre, la prima sigaretta te la do io. E la fumi a casa. Vuoi provare? Non c'è problema. Si prova. Se poi ti garba, okay, non posso dirti niente per farti cambiare idea, anche i pipponi delle conseguenze sulla salute ti risparmio, guarda.  Se invece non ti garba, meglio. Però evita di prendere fumo in giro, evita di nascondermi la sigaretta, tanto se vuoi fumare, posso sbraitare quanto mi pare e tu lo faresti lo stesso. Di nascosto. Che è peggio, come diceva un puffo. Quindi niente, pensaci. Se un giorno vuoi provare lo faremo. Magari insieme (io non l'ho mai fatto e sarebbe un bel modo di iniziare, no?). Nel migliore dei casi sputeremo anche le tonsille, nel peggiore ci divideremo un pacchetto. Quindi voglio che tu sia tranquilla. Se è un'esperienza che vuoi fare, io sono qui. Puoi contare su di me."
Lei mi guarda attenta. L'ho colpita, lo so. Non si aspettava questa mia resa, questa mia mano tesa verso di lei, io, che il fumo lo odio. Ma io sono io. Lei è lei. Ed è giusto che faccia le sue esperienze, tanto le farebbe ugualmente, magari nel modo più insano che c'è. Ha capito però che io ci sono. Ora mi getterà le braccia al collo e mi dirà "Non aspettavo altro che il tuo appoggio. Grazie mammaaaa!!" Per fare le cose per bene dovrebbe partire anche una musica di sottofondo molto commovente, perché il momento è catartico. Il pippone saggio da madre a figlia ha sempre un suo perché, sono quelle tacche della vita incise con forza. Lei un giorno ricorderà questo momento e racconterà ai nipoti 'Quella volta che mia madre mi offrì una sigaretta'. Minchia, mi sento di aver fatto troppo la cosa giusta. 
Lei mi guarda.
Io la guardo.
Lei mi guarda.
Io la guardo.
Eccolo il momento, il suo ringraziamento.
Apre bocca e mi dice quasi offesa "A me sembri scema. Ma che discorsi fai? Ma proprio a me? Apri al gatto vai, che son du' ore che miagola perché ha fame. Mah!" Scuote la testa e si rimette a studiare.

Sono stata incisiva a bestia. Ho colpito. Sì, il muro a suon di testate per la figura di merda. Molto bene.







lunedì 16 marzo 2015

Io scrivo, tu scrivi, egli muore

                                     
                                                                                 (Foto http://www.alqamah.it/)


Ma voi, quando siete intenti a fare qualcosa che vi piace, curate il vostro aspetto? Domanda che rivolgo alle creative, tipo a quelle che cuciono, che fanno decoupage o a chi crea in generale. No, perché io in questo sono un disastro, nel vero senso della parola. Se non lo sapeste ho iniziato il quarto romanzo. Mi sono lasciata un mesetto di tempo dall'uscita di Mi piaci, ti sposo per rimettermi in batteria, raccogliere le idee tutte insieme, rispolverare alcune bozze, riunire gli appunti e rimettermi al lavoro. E sono in piena fase creativa e quando dico in fase creativa intendo che posso avere uno sguardo ebete e appannato mentre tu mi parli di quanto siano aumentati i cavoli cappuccio al mercato, solo perché sto pensando che la mia protagonista potrebbe dire proprio quella frase lì, o potrebbe fare colà. Non solo: quando comincio a scrivere su qualsiasi cosa tipo retro di bollette o tra una riga e l'altra di Tutto Città che ho trovato in macchina, direi che ci siamo. È la fine. Per ovviare a tutto ciò mi sono comprata anche un taccuino fighissimo. Peccato che sia piccolo e dopo tre righe è già pieno. Non ce la posso fare. E questo è quando sono fuori che, voglio dire, se pensi ai cazzi tuoi manco ti accorgi delle mie paturnie. Il problema è in casa, tipo che se apro al postino mentre sto scrivendo, gli prende un infarto e mi muore lì, sullo zerbino, con la bolletta dell'acqua tra le mani. E non è una bella scena. Premettiamo che io non scrivo di notte. Lo so, è molto figo, lo fanno quasi tutti, anche quelli che di giorno magari hanno tempo. Semplicemente la notte porta ispirazione. A me no. Io la notte devo dormi', come ho già dichiarato diverse volte. La mia fase più produttiva è la mattina e il primo pomeriggio. Dopo le cinque c'ho un deficit dell'attenzione, mi distraggo molto più facilmente e mi si annebbia il cervello, che è già compromesso di suo. Quindi quando va tutto bene e lavoro permettendo, mi piazzo al pc verso le 7.30 e scrivo più o meno alacremente fino verso 12.30. In tutto questo tempo mangio, bevo, mangio, mangio, mangio e mangio. Dovreste vedere le carte che ho sul tavolo. E scrivo, ovvio. Sono una che si distrae facilmente quindi devo avere la televisione spenta e isolarmi un attimo. In fase critica sono arrivata a mettermi i tappi gialli di silicone nelle orecchie. E come son bellina in quel frangente, non potete capì: sembro un minions. Non sono metodica, ecco quello no. Sono una che scrive di getto, di istinto e di pancia, infatti ogni volta temo che mi escano idee di merda ma la mia storia dice il contrario. Sono capace di prendere appunti e farmi partire l'embolo mentre aspetto Alice in piscina (alcuni punti salienti di Chiudi gli occhi l'ho partoriti lì) e rimanere imbambolata davanti al classico foglio bianco pur avendo quattro ore libere a disposizione. E non parliamo di come mi curo. Per farvi un esempio: il grandissimo Andrea Camilleri, tutte le sante mattine si sveglia, sa che deve corre più veloce del leone...ah no, questa è un'altra storia. Dicevamo, si sveglia, fa colazione, si lava, si pettina, si sbarba, si veste bene, si improfuma e invece di prendere la porta e uscire come uno si aspetterebbe, si rinchiude nel suo studio a scrivere. Tutte le mattine. Bello e lindo, sia mai che qualcuno bussi alla porta all'improvviso.
Sì. Prova a farlo a casa mia. Che se apri all'improvviso, dallo spavento muori sul colpo. Tanto per cominciare io scrivo in pigiama. Se non ho motivo di uscire, io non mi cambio, mi fa proprio fatica. Al massimo, dico al massimo, mi metto una tuta. Pettinarsi è un optional, tanto quando non mi torna un passaggio mi ci passo le mani 8000 volte e quindi è inutile. Truccarsi? Impossibile, tanto quando non mi viene una parola mi strofino le mani sul volto fino a che non la trovo. A volte sfrego così forte sbuffando un ARGH! che ho paura di prendere fuoco da un momento all'altro. La mia mente e le mie idee mi prendono talmente tanto che mi imbruttisco. Letteralmente. Non sto scherzando. Sto na chiavica, sembro più pazza di quello che sono in realtà anche se sembra impossibile. Mi piace coccolarmi con il tè e mangio cioccolatini uno dietro l'altro. Ergo: ogni volta che finisco un romanzo sono tre kg in più. Ne vale la pena? Forse.
Quindi ora sapete che oltre a dirmi “Ho letto il tuo romanzo, mi è piaciuto!” per farmi davvero felice dovreste dirmi “E sei anche magrissima!”
Voglio dire, che vi costa dire una bugia?


lunedì 9 marzo 2015

Al ristorante giapponese


                                                                                           (Foto: Vanity Fair )



Io ho delle amiche simpatiche, simpaticissime. Così simpatiche che mi hanno proposto una cena al ristorante giapponese. Che non è nemmeno un male se non fosse che io sto alla cucina orientale come Siffredi alla castità. Potete ben capire la mia gioia e il mio gaudio davanti a questa proposta, quindi me ne sono uscita con “Se sono in minoranza, ok, ci sto" sicura che la maggior parte delle donzelle si sarebbero mosse a compassione e mi avrebbero proposto una carbonara alla trattoria più vicina. Ebbene. Ero la sola a essere scettica e a remare contro vento. Figuriamoci, vada per il risto-giappo.
Devo ammettere che appena arrivata alcune cose mi sono piaciute subito: l'ambiente in generale, molto moderno con alcuni tocchi kitsch, i lampadari colorati, le luci soffuse e il trenino di piattini. Il trenino di piattini l'ho adorato, mi ha fatto tornare bambina. Praticamente è un giochino: c'è un nastro che serpeggia indisturbato e silenzioso per tutto il locale facendo dei ghirigori tra i tavoli e cosa c'è su questo nastro? Cibarie, su dei piattini coloratissimi che mi sarei ficcata in borsa da quanto erano bellini. “Insomma,” mi hanno spiegato “tu prendi dal nastro cosa vuoi e mangi.”
Semplice. Certo. Sapessi cosa c'è nel piatto sarebbe anche più facile.   Presa dalla novità e da un entusiasmo pari solo a un'estrazione dentale senza anestesia, mi aggiudico il posto vicino al nastro trasportatore. Le amiche simpatiche mi esortano a servirmi.
“Prendi. Prendi qualcosa, su.”
Io guardo passare sti piattini striminziti e mi sogno un piatto di lasagne. Riconosco qualcosa tipo il riso, il resto mi pare roba finta, ma decido di far finta di nulla.
In compenso l'amica Elisabetta sta arraffando quattro piattini alla volta e li distribuisce tipo rancio al grido di “Mangiate, tho! Magna questo! Al volo!” e lancia i piatti come se fossero frisbee, fa scorte come se dovesse partire per l'isola dei famosi e stare a digiuno tre mesi, e si arraffa pure il dolce per paura che qualcuno glielo sgraffigni. Io, diversamente nipponica, invece faccio fatica ad agguantare quello che mi passa sotto il naso. È una cosa che mi mette ansia perché devi essere veloce, scegliere in tre secondi sennò il piattino va via e sono cazzi tuoi, non lo rivedrai mai più perché quello al tavolo dopo te lo prende e te lo mangia e te rimarrai sempre con quella sensazione del treno che passa solo una volta nella vita e te lo sei fatto scappare. Senza contare che avevo l'istinto di prendere un pezzetto, assaggiarlo e se non mi piaceva, riporlo nel piattino e farlo scorrere per donarlo a quello più avanti. Che voglio dire, mi sembrerebbe anche più logico, no? Tipo ci dai un morso “Non mi piace”, lo rimetti lì e il piattino va a qualcun altro che magari apprezza di più. Peccato. Mi hanno detto che non si può fare. Pensavo che il nastro, onestamente, servisse a quello. Però, visto che mi passava tutto sotto il naso, aspiravo con le narici tipo Folletto per carpirne almeno gli odori, ma nulla, mi pareva tutto uguale. E niente, avevo un posto fighissimo ma molto impegnativo perché se è vero che arraffi la qualunque, dall'altra fai da cameriere e devi sta attenta alle prenotazioni.

“Simo, passami la cipolla fritta, lesta!”
“Eh?”
“La cipolla fritta!Corri sennò il piattino va via!”
“E qual è la cipolla fritta? Cazzo, dimmi almeno il colore del piattino!”
“Verde!”
“Tho, eccoti la cipolla. È buona?”
“È un totano.”

“Corri! La zuppetta!”
“Eh?”
“La zuppettaaaa!! prendila, veloce!”
“E qual èèèèè????”
“Quella nera e dorata col coperchio!”
“Ah. Il Sacro Graal?”

“Simo, prendimi gli spaghetti di soia!”
“Zitta, non mi dire nulla. Forse stavolta ce la faccio. Sono quelli che sembrano un ammasso di peli e capelli trovati dietro il cesto della biancheria di una bettola che spacciano per albergo?”
“Mi è passata la fame.”

“Prendimi il sushi col tonno!”
“Tho!”
“Rimettilo là, questo è salmone!”
“Non sono capitan Findus, mangiati il branzino e chetati!”

“Prendimi il piattino rosso!”
“A me verde!”
“Blu!”
“Blu e rosso!”
“Giallo!”
“Giallo, verde e blu!”
Mi sembrava di giocare a Strega comanda color. Paro paro. Ho lanciato dei piatti a caso, dato della verdura a chi mi chiedeva pesce e fritto a chi mi chiedeva lesso.
E si sono pure lamentate. Non capisco perché. Cioè, manco contente di come distribuisco il rancio. E ho capito che se vuoi stare lì devi avere dei requisiti ben precisi. Devi essere: veloce, sicura, riconoscere una balena da un tacchino, una roba fritta da una in umido, non daltonica, con un recondito sogno di essere una cameriera, abbastanza sveglia per rubare da sotto il naso di quello davanti il piatto che ti interessa, e stare al tuo posto senza importunare i vicini di tavolo con domande tipo “È buono? Di cosa sa? Se non vomita nei prossimi dieci minuti lo prendo anche io.”
Non solo: mi dicono che dovrei provare a mangiare con le bacchette. Ste cose nere  e lunghe, buone solo per tenerti la crocchia di capelli al posto della matita. Comunque ci provo e dopo diciotto tentativi andati a vuoto, l'istinto sarebbe di piantargliele nel petto tipo palo di frassino con i vampiri. L'amica Claudia, vedendomi in prossimità di una crisi di nervi mi allunga una forchetta "Tieni, minchia che pena che mi fai." Ho visto la luce in fondo al tunnel, giuro.
Devo dire però che ho mangiato. Sì sì. Dopo aver sezionato e analizzato ogni piatto manco fossi una dei Ris. Con l'amica mia Manuela (l'unica che dopo l'entusiasmo iniziale ha cominciato a rimpiangere un'amatriciana o una pizza quattro stagioni) pescavamo un piattino a caso e, posizionato sotto i nostri occhi, ci ponevamo dei quesiti.
“Secondo te cosa è?”
“Mah...pare pesce.”
“Dici? Annusa un po'.”
Sniiiiff “Mmh...non so. Vivisezioniamolo.”
“Accendi il registratore: oggi, 6 Marzo, ore 21.30, mi appresto ad effettuare incisione a Y sul corpo della vittima. Di primo acchito pare una seppia, ma potrebbe essere un crotalo. Ci accingiamo all'assaggio. Prima la collega.”
“Gnam... sì, è pesce in salsa barbecue.”
“Positivo. È pesce il salsa barbecue.”
“Con pezzetti di zucca.”
“Altri elementi all'indagine: con pezzetti di zucca.”
L'amica Anna, l'esperta, interrompe questa analisi da far invidia a Kay Scarpetta con un: “Cretine, è pollo con carote in salsa di soia.”
Non c'abbiamo capito un cazzo. Papille gustative andate, completamente 'mbriache. Nemmeno il medico legale possiamo fa'. Mai una gioia 'orcomondo.
Però abbiamo fatto lo stesso con la maggior parte dei piatti, usando le bacchette per spostare letti di alghe, scambiando mille ingredienti tra loro e imboccandoci a occhi chiusi tipo penitenza. Ho assaggiato più o meno con entusiasmo quasi tutto, ma alla fine ho mangiato: riso con verdurine, pesce fritto, una cima di broccolo scondita per la quale mi hanno preso per il culo anche i ricoverati degli ospedali di tutta Italia, tre pezzi in croce di finocchio crudo (tipico appunto della cucina giapponese) e due fette di ananas alla quale mi sono attaccata con una voracità che sembrava non mangiassi da tre mesi. Praticamente un menù come se fossi stata a casa. Che bella esperienza.
Da ripetere senz'altro.
Sì.
Come no.
Certamente.
Si vede che sono convinta?






martedì 3 marzo 2015

Ci sono giorni in cui


(Foto https://www.facciabuco.com)



Ci sono giorni in cui mi alzo la mattina, mi guardo allo specchio e mi vedo figa. No, aspe': dopo colazione, un po' di trucco e parrucco. Quindi dicevo: mi vedo figa. Ammiro i miei capelli che alla soglia dei 42 anni non hanno bisogno di tinte, la pelle tirata e senza rughe, la bocca turgida e un naso niente male. E ci sono giorni in cui, nonostante un restauro durato quanto l'era glaciale, io mi vedo un cesso a pedali. Quei quattro capelli bianchi in croce che tengo mi sembra che luccichino e splendano di luce propria e mi sento a un passo da sembrare Crudelia de Mon. Vedo distintamente le rughe intorno agli occhi soprattutto se rido (e subito li sgrano sorpresa alla 'Porcatroia!' per vederle scomparire), la bocca mi sembra vuota e sgonfia come la borsa dell'acqua calda che giace in garage e il naso mi ricorda Bartali “L'è tutto da rifare!”

Ci sono giorni in cui esco di casa truccata, ben pettinata, con tacco 12 e un abitino perfetto per un red carpet o una prima a La Scala, solo per andare dalla fruttivendola o a prendere il giornale. Così, perché mi va. E ci sono giorni in cui gli appuntamenti richiederebbero un abbigliamento adeguato (visite mediche, incontri di lavoro, feste e cerimonie) in cui avrei voglia di presentarmi in pigiama, ma opto per una tuta. Solo perché il pigiama è troppo leggero. E “No, gli stivali di gomma con i quali vai nell'orto, non vanno bene.” Ovvio che in quel frangente in cui tu'nonna con la sciatica in confronto a te sembrerebbe la Bundchen, tu incontri la qualunque.

Ci sono giorni in cui una battuta su di me mi fa scompisciare dalle risate tanto da metterti la fascia come Miglior amico dell'anno. Davvero, sei forte. Ti voglio bene un casino.
E ci sono giorni in cui la stessa identica battuta te la farei ingoiare aiutandomi con una vanga con la quale ti percuoterei per oltre otto ore consecutive fino a che non stramazzi a terra. Morto, possibilmente.

Ci sono giorni in cui agguanto la motosega e mi depilo con dovizia. Estirpo il pelo alla radice, lo minaccio e mi prometto che mai più e mai poi, le mie gambe assumeranno l'aspetto di una foresta di mangrovie. E ci sono giorni in cui, anche se non mettessi le calze, potrei benissimo uscire con i miei pantaloni a frange naturali e mi sentirei a mio agio comunque.

Ci sono giorni in cui mi spalmo la crema anticellulite, antirughe, antietà, antiritenzioneidrica, antinestetismi, antitutto con una convinzione tale che già dopo la prima spalmata mi sento asciutta, liscia e levigata come il culetto di un bebè dopo il bagnetto. E ci sono giorni in cui, aprendo lo sportello del bagno, mi cascano tra le mani diversi tubetti e barattoli scaduti che io guardo borbottando “E questa cosa è? Crema che fa sparire la cellulite in tre settimane? Ma che cazzata!” e via, la frullo dalla finestra.

Ci sono giorni che vado in palestra con una carica pazzesca, sentendomi Jane Fonda nelle videocassette anni '80 di ginnastica tonificante. Una bomba. Tonica. Scolpita. Soda. In una parola: figa. E pronta ad affrontare 59484 ore di allenamenti estenuanti. Anzi, rinnovo pure l'abbonamento per i prossimi vent'anni.   E ci sono giorni che al solo pensiero di recarmi in palestra mi provoca un attacco di depressione. Figuriamoci alzare un alluce o far roteare un mignolo. Staccarmi dal divano e dal plaid potrebbe provocare un danno permanente al mio stato psicofisico. Che, voglio dire, è già molto compromesso.

Ci sono giorni in cui mi vedo magra. Semplicemente. Ventre piatto. Culo giusto. Cosce a posto. Non ho niente di cui lamentarmi. Avanti così, bella de mamma.
E ci sono giorni in cui, mangiando la focaccia con la salsiccia, bofonchio “Mmh...sì, dovrei mettermi a dieta. Gua', guarda che rotolini.” E allora vedo i maniglioni antipanico, i cuscinetti adiposi, la pelle a buccia d'arancia, le braccia gonfie, la pappagorcia all'Enrico VIII e i polpacci alla Rummenigge.

Ci sono giorni in cui un abito o un paio di pantaloni mi entrano al volo. Questi indumenti mi scivolano addosso che è na bellezza. Fatti su misura. Valorizzano il mio corpo. La zip sdrucciola via che sembra pagata e i pantaloni dio come si chiudono bene. Va là. In formissima la Simo.
E ci sono giorni in cui gli stessi indumenti pensi si siano ristretti nottetempo perché non ti entrano manco per il cazzo. Manco se preghi in sanscrito. Manco se ti affidi a una sarta. La zip non sdrucciola, ma caraccolla. Si inceppa. Si accascia e non se move. Ferma lì la bastarda, se la tiri indietro ti agguanta la ciccia facendoti vedere le stelle, se provi a tirarla avanti muori asfissiata dal trattenere troppo il respiro. E se ci riesci, a tirarla tutta su dico, cerca di non muoverti troppo che potresti sembrare l'incredibile Hulk quando diventa verde: strappi qualsiasi cosa.

Ci sono giorni in cui semplicemente siamo in preda al ciclo, agli ormoni, agli umori dettati da chi ci circonda, a una fame atavica, a un sana malinconia mista scazzo o una sacrosanta infingardia mista a pigrizia.
E ci sono giorni in cui basta una parola, una telefonata, un complimento, un sogno erotico, un buon libro, un bel film, una frase carina, una aggrovigliata lotta tra le lenzuola o semplicemente il fatto che ci sia il sole e che sia quasi primavera, o che sia giorno di stipendio o l'aver visto una borsa di Prada scontata del 70% , che tutto ci pare più bello, roseo, alla nostra portata. E in quel frangente saltelliamo felici che manco Bambi nel bosco.
Prima che gli ammazzino la mamma.
Ecco, appunto.




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